Il termine tecnico coniato per indicare questo fenomeno è “greenwashing”. Tradotto vuol dire “ecologismo/ambientalismo di facciata”.
Che che se ne dica, l’ecosostenibilità è il tema d’attualità per eccellenza. È in questa direzione che (apparentemente) si stanno muovendo governi, aziende, associazioni e cittadini. La generazione Z parrebbe essere una delle più attente nella storia alle problematiche ambientali. In pratica, mentre i nostri nonni e genitori sognavano il posto fisso e una famiglia numerosa, oggi i giovani combattono per poter vivere ancora a lungo in un Pianeta pulito e in condizioni di diritti umani e civili sostenibili. Il volto di Greta Thunberg è un po’ sparito dai radar, ma ancora ben impresso nella testa, forse anche grazie ai meme nati sul web. Non è bastata nemmeno la pandemia mondiale da Covid-19 per oscurare l’attenzione verso l’ambiente. Anzi, dai sondaggi emerge che, proprio in questo periodo di pandemia, l’attenzione, o come piace agli Z, l’hype per il green sia salito vertiginosamente. Pare infatti che il 67% dei consumatori consideri importante l’uso di materiali sostenibili durante l’acquisto, mentre il 63% valuta il modo in cui il brand promuove la sostenibilità.
Di conseguenza, sono tantissimi i marchi che si dichiarano green, che evidenziano le caratteristiche ecosostenibili di prodotti e packaging. Tutto molto bello, peccato che, come sempre, il verme stia dentro alla mela, non fuori.
Indagando un po’ più a fondo ci si rende conto che spesso e volentieri la tanto sbandierata sostenibilità sia, appunto, un semplice gioco pubblicitario, uno specchietto per le allodole. Il termine tecnico coniato per indicare questo fenomeno è “greenwashing”. Tradotto vuol dire “ecologismo/ambientalismo di facciata”. È una strategia di comunicazione che viene utilizzata da alcune aziende per apparire ecosostenibili quando in realtà non lo si è affatto.
Il greenwashing è una delle strategie che va per la maggiore. Secondo alcune stime della CE, il 42% delle affermazioni pubblicitarie “verdi” si sono dimostrate esagerate o false, e per questo sleali ai sensi delle norme dell’Unione Europea.
Analoghi al greenwashing ci sono moltissimi altri fenomeni come il pinkwashing (tumori al seno e tematiche femminili), il genderwashing (differenze di genere) il rainbowwashing (discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale). Il gioco è semplice: sfruttare temi caldi per distrarre il consumatore da eventuali difetti del prodotto, convincerlo all’acquisto su base ideologica quando molto spesso proprio tale base non viene rispettata.
Il greenwashing è una delle strategie che va per la maggiore. Secondo alcune stime della CE, il 42% delle affermazioni pubblicitarie “verdi” si sono dimostrate esagerate o false, e per questo sleali ai sensi delle norme dell’Unione Europea. Dall’indagine di CE si può evincere che ci sono circa 344 potenziali casi di greenwashing. La strategia più utilizzata è quella di inserire nei testi promozionali parole vaghe, come ad esempio “consapevole”, “ecologico”, “sostenibile”. Questi termini, non corrispondenti poi ad un’adeguata trasparenza su materiali utilizzati e processi produttivi, trasmettono secondo CE “l’impressione infondata che un prodotto non abbia avuto un impatto negativo sull’ambiente”.
Il problema fondamentale è che essere ecosostenibili costa e costringe le aziende che realmente applicano criteri green ad alzare i prezzi. Questo le rende meno competitive sul mercato rispetto a chi questi criteri non li rispetta (pur dichiarando di farlo). Ad esempio, il prezzo del cotone organico è aumentato e per questo motivo molte aziende vi hanno rinunciato o comunque hanno ridotto le percentuali di utilizzo e hanno ripreso ad impiegare fibre sintetiche e plastiche.
La sostenibilità, come già detto varie volte sul blog, è un concetto ampio che abbraccia non solo materiali, ma anche produzione, lavorazione, condizioni lavorative, trasporto, packaging, consumo. Insomma, ogni aspetto e ogni passo del processo produttivo. In sostanza, è impensabile che un capo che costa 3 euro sia stato realizzato in modo sostenibile.
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