Undeground Fashion Journal: Perché Westwood e McLaren hanno ucciso i valori del Punk

Scopriamo insieme tutto ciò che c’è da sapere su una delle sottoculture più interessanti ed iconiche di sempre: lo stile punk tra moda e ideologia

Punk significa anni ‘70, giacche in pelle e anarchia. Punk vuol dire Sex Pistols, Ramones, Clash. 

È il 1976, siamo nei sobborghi di New York o Detroit, nell’aria risuona Anarchy in theUk, le catene scintillano e schioccano appese ai jeans infilati negli stivaletti in pelle. È un concerto di cigolii e suoni metallici. Il neoliberismo sta dando segni di cedimento e c’è rabbia. Rabbia da gridare. Rabbia da sputare in faccia a un sistema che non ha fatto altro che emarginare e creare disuguaglianze sociali. E allora, il nostro orgoglio è proprio questo, alla faccia dei borghesi pettinati. Il nostro orgoglio è essere sporchi, valere due soldi, essere in una parola: punk.  

Punk vuol dire rivoluzione. Punk vuol dire stravolgere le regole, vomitarci sopra tutta la rabbia e la voglia di esplodere di una generazione. Punk significa anni ‘70, giacche in pelle e anarchia. Punk vuol dire Sex Pistols, Ramones, Clash.  

Essere punk vuol dire provocare e criticare la società, stravolgerla, metterla in discussione. Per questo motivo, gli abiti punk non possono che essere elementi di rottura, stendardi di una visione antiborghese del sistema sociale ed economico. E allorale giacche e le cravatte si imbottiscono di spille e borchie, i jeans si strappano, le faccine pulite si riempiono di piercing. I lucchetti o i collari al posto delle sciarpe, lamette, capelli colorati e creste esagerate. Tutto, anche le svastiche, viene esibito come provocazione.  

punk_mowement

Iniziatori del punk al patinato mondo dell’alta moda sono Vivienne Westwood e Malcom McLaren, che negli anni ’70 aprono un negozio a Londra dove espongono creazioni che ispireranno gli stilisti di tutto il mondo.

Il velluto lascia il posto alla pelle, decorata con spillette e scritte spray, corde riprese dal mondo bondage e tanto tanto metallo di ogni forma e dimensione. Ai piedi brothelcreeper, converse, winklepicker e Dr. Martens. L’abbigliamento, così come la musica, è un grido di rabbia che risuona forte e chiaro con un’eco che arriva anche alle passerelle più prestigiose, dando vita a uno degli stili più copiati e rimodulati di sempre. È questo il grande paradosso del Punk e di molte sottoculture affini: la freccia scagliata contro il sistema finisce per piantarsi a recinto di un nuovo ordine che non è contro, ma particella divorata da quello stesso sistema. 

Iniziatori del punk al patinato mondo dell’alta moda sono  Vivienne Westwood e Malcom McLaren, che negli anni ’70 aprono un negozio a Londra dove espongono creazioni che ispireranno gli stilisti di tutto il mondo. In Italia, invece, il primo ambasciatore dello stile punk è Gianni Versace, che dona un tocco di femminilità e delicatezza allo stile duro e metallico.  

Le evoluzioni ideologiche e politiche del Punk sono variegate e multiformi, talvolta anche agli antipodi. Da un lato i nazi punk, dall’altro gli anarcho punk e così via.  Questi ultimi in particolar modo hanno scelto di sostenere battaglie pacifiste e di recente ambientaliste, animaliste, vegetariste e veganiste.  

Vi è piaciuto questo articolo? Fatecelo sapere nei commenti. 

Chiara Mezzetti
Chiara Mezzetti

Editor

Privacy Policy Cookie Policy